lunedì 27 ottobre 2014

IL PD SI PIEGA MA NON SI SPEZZA, RENZI AVANTI CON MEZZE RIFORME

di Massimo Colaiacomo

Per tutti i curiosi delle statistiche: Matteo Renzi è il più giovane presidente del Consiglio nella storia della Repubblica, avendo ricevuto l'incarico il 22 febbraio 2014, all'età quindi di 39 anni e un mese. Un record che dalla Repubblica si estende al Regno d'Italia e alla storia dell'Italia unita: prima di Renzi il record era detenuto dal cav. Benito Mussolini, che divenne presidente del Consiglio il 1° novembre 1922, cioè all'età di 39 anni e 3 mesi, dunque di due mesi più vecchio di Renzi.
La curiosità però finisce qui e nessuna malizia autorizza a stabilire un parallelo fra le due vicende politiche. Anche perché Renzi ha fatto sapere ai "leopoldini" che lui conta di limitarsi a due mandati governativi, quindi a un ciclo di governo di 10 anni, salvo che il capriccio della storia e ancor più quello degli elettori non decida diversamente.
Ha scritto con la consueta intelligenza Stefano Folli che la manifestazione della Leopolda è in qualche misura la Bad Godsberg di Matteo Renzi, dal ome della località in cui Willy Brandt celebrò il congresso storico con cui la Spd  rinunciava   Si può solo aggungere che Renzi ha dovuto fare fatica doppia: costruire la sua personale Bad Godsberg e, insieme, scrivere l'Agenda 2020 perché alla sua ambizione non può bastare la rottamazione dell'ideologia marxista e delle incrostazioni di potere costruite grazie ad essa, ma deve aggiungervi lo scatto di Schröder che non poteva avere, nel 1959, Willy Brandt.
Il trattamento ruvido, al limite dello scherno, riservato alla minoranza interna del PD e alla Cgil di Susana Camusso non può essere interpretato come il benservito alla componente ideologica di origine comunista, ormai residuale a dispetto delle migliaia di manifestanti accorsi a piazza San Giovanni. Per la buona ragione che a sinistra del PD non si intravvede al momento lo spazio per una sinistra radicale elettoralmente importante, sul modello Tzipras per intendersi, ma esiste soltanto un terreno, non si sa quanto ancora fertile, per una sinistra populista sul modello grillino. E la forza elettorale di Grillo funziona, paradossalmente, da argine a ogni tentativo di scissione nel PD perché la sua forza di attrazione, appannata quanto si vuole, potrebbe attirare nella sua orbita ogni diaspora a sinistra e quindi privarla di senso politico. 
Per queste ragioni Renzi può dire di non temere avversari alla sua sinistra. C'è da credere, però, che neppure cercherà di crearli. La strategia di sfondamento al centro, premiata come si è visto con il voto europeo, obbliga il premier a muoversi con una dose crescente di disinvoltura e a tagliarsi tutti i ponti alle spalle perché sa che la spaccatura del partito non è alle viste. Questa circostanza, però, non sembra mettere benzina sufficiente nel motore del governo. A Renzi va dato merito di aver messo in moto un cambiamento del costume politico e l'anagrafe dei ministri, come l'anagrafe delle nomine pubbliche, ne sono la testimonianza più evidente all'occhio. Tutto qusto non si è però tramutato in una direzione di marcia chiara e, quel che più conta, non ha indicato al Paese un grande traguardo.
Tutte le sfide economiche sono state rinviate e si può credere che alla fine, con qualche acrobazia, Renzi riuscirà a strappare il sì della Commissione europea al rinvio del pareggio strutturale di bilancio al 2017. In cambio, come ripete il ministro Padoan, di quelle riforme strutturali diventate un po' l'Araba fenice della politica italiana. Ma quali riforme e con quale capacità di incidere nel corpo anchilosato della società italiana? La riforma del lavoro con l'art. 18 mezzo abolito e mezzo riscritto? O quella delle Province, da abolire ma anche da far sopravvivere? O quella della Pubblica amministrazione centrata tutta su una staffetta generazionale destinata ad appesantire il debito pubblico fra nuove assunzioni e pensionamenti anticipati per i dirigenti? La riforma della scuola, vera emergenza formativa e pedagogica della società italiana, consiste in 140 mila insegnanti da assumere o nella costruzioe di laboratori linguistici, nell'affermazione del modello duale scuola-lavoro? Tutto questo non è previsto nell'orizzonte di un esecutivo nato con l'ambizione di cambiare il Paese ma riuscito finora a cambiare il PD. Il che, va riconosciuto, è un ottino inizio sempre che Renzi non lo trasofrmi anche nel traguardo.
 
 

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