martedì 14 maggio 2013

A SPINETO TROVATO UN METODO MA NON LE RISPOSTE ATTESE DAL PAESE

di Massimo Colaiacomo

     Il conclave dei ministri nell'abbazia di Spineto non era chiamato a eleggere un Papa ma semplicemente a impedire che avesse vita breve quello appena nominato dal presidente Napolitano. Le polemiche seguite alla manifestazione del PdL a Brescia e il richiamo perentorio del presidente del Consiglio con l'editto che vieta la presenza dei ministri alla manifestazioni di partito almeno fino al voto amministrativo del 26 maggio hanno confermato tutta la fragilità politica dell'esecutivo di servizio. Enrico Letta è un politico esperto e abile, ma anche sensibile (forse perfino timoroso), al netto della sua provata lealtà istituzionale, ai richiami dei partiti. La riunione di Spineto doveva servire per fare chiarezza nell'agenda di governo, stabilire le priorità economiche e nel campo delle riforme. Ne è uscita una convergenza sul metodo di lavoro, risultato non da poco, ma sono rimaste avvolte nella nebbia le urgenze economiche e sociali dell'Italia.
     È vero che i titoli dell'agenda economica e sociale sono stati ordinati in modo nuovo: lavoro ai giovani; rinnovo dei finanziamenti per la CIG; soluzione al problema degli esodati. Fin qui tutto chiaro. Con quali risorse finanziare programmi tanto ambiziosi e socialmente rilevanti non è stato detto né potrà essere chiarito prima del rientro del ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni dal vertice dell'Eurogruppo a Bruxelles. Perché è in Europa, e nella disponibilità della Germania e dei suoi "satelliti" (Olanda, Belgio, Norvegia, Finlandia) che si decide la realizzabilità dei programmi del governo italiano. Programmi, come si diceva, avvolti nella vaghezza ma, circostanza ancor più rilevante, modellati sulle attese di un esecutivo che dovrebbe avere davanti a sé una se non due legislature.
     Colpisce, invece, la chiarezza estrema con cui il presidente Letta, il suo vice Alfano e il ministro Quagliariello hanno delineato il percorso riformatore e la "rete di sicurezza", consistente in piccoli ritocchi del Porcellum, da stendere nell'eventualità di uno scivolamento improvviso verso le elezioni.  Che cosa può significare tutto questo? Scarsa fiducia nella durata dell'esecutivo o nella capacità e volontà delle forze politiche di fare le riforme? L'agenda delle riforme divide Pd-PdL più della stessa cancellazione dell'IMU. Per Letta è prioritaria la riforma della legge elettorale (priorità quanto meno inopportuna per un presidente del Consiglio appena battezzato). Per Quagliariello e il capogruppo PdL al Senato Schifani la legge elettorale è l'ultimo gradino nella scala delle riforme, preceduto dalla scelta fra opzioni di fondo che riguardano il sistema istituzionale (parlamentare o presidenziale).
     E' di tutta evidenza che le divergenze in materia elettorale sono soltanto la spia del diverso mood con cui governo e maggioranza affrontano questo tornante. C'è tatticismo, è ovvio, anche nella posizione del PdL, convinto che andare alle urne con il Porcellum potrà garantirgli un'agevole maggioranza parlamentare. In attesa del Consiglio dei ministri, spostatoa venerdì dopo essere stato convocato inizialmente per domani, resta in alto mare la definizione di una linea economica dell'esecutivo. Il ministro dell'Economia, Saccomanni, di ritorno dall'Eurogruppo si è rivolto erga omnes ai suoi colleghi di governo per invitarli, nell'indicare nuove spese per i loro dicasteri, a segnalare i tagli equivalenti. Una posizione pilatesca da parte di chi detiene i cordoni della borsa e a cui sarebbe richiesta un'impostazione attiva della politica economica capace di andare oltre l'equazione zero uguale zero.
     A frenare l'azione del governo, o quanto meno a renderla timida sui capitoli sociali più rilevanti, non è soltanto il timore delle possibili conseguenze derivanti dalle vicende processuali di Berlusconi. Letta sa che il Cavaliere non potrà mai rompere sulla giustizia, per la semplice ragione che giocherebbe la carta sbagliata per presentarsi al giudizio degli elettori. E sa anche che soltanto una condanna definitiva (come sarebbe la sentenza sfavoreole della Cassazione su Mediaset, attesa per dicembre) potrebbe indurre il Cavaliere a rovesciare il tavolo. Prima di dicembre è difficile immaginare uno showdown da parte del Cavaliere.
     Anche in quel caso, però, molto dipenderà da come il governo avrà saputo operare in questi mesi. Per Letta può essere cruciale andare subito a segno con due o tre provvedimenti importanti per rompere il muro di scetticismo che circonda il suo tentativo. Misure contro la disoccupazione giovanile (senza che sia lo Stato a inventarsi posti di lavoro) e riforma del fisco sulla casa potrebbero guadagnare consensi al suo esecutivo e indirizzare su un cammino diverso le tensioni che si vanno accumulando dentro i due partiti maggiori.

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