venerdì 7 giugno 2019

INSIEME PER SFIDARE L'EUROPA, SALVINI E DI MAIO SIGLANO LA TREGUA


di Massimo Colaiacomo


     Contro le richieste della Commissione europea e contro i parametri di Maastricht Salvini e Di Maio hanno trovato il terreno giusto per siglare una tregua in attesa del prossimo scontro. In assenza del presidente del Consiglio, i due vice si sono incontrati per discutere probabilmente la linea comune da tenere nei confronti delle richieste avanzate dai commissari europei, richieste sulle quali il presidente Conte si è detto disponibile ad aprire un confronto con Bruxelles. È probabile, come già è accaduto a ottobre, che nel gioco delle parti si ripetano gli stessi ruoli: i due vice liberi, per ragioni politiche, di fare la faccia feroce come piace ai rispettivi elettorati (a quello leghista più di quello grillino, al Nord meno che al Sud), mentre il premier si impegnerà a trovare un accordo non troppo oneroso per il governo.
     Si può ragionevolmente ritenere che Salvini e Di Maio abbiano siglato una tregua momentanea, utile per scavallare l'estate e arrivare al "fatale" settembre, quando dovranno mettere mano alla legge di Bilancio. È vero, il prossimo luglio il Consiglio Ecofin si riunirà e potrebbe decidere di dare semaforo verde alla "procedura di infrazione" in assenza di correttivi importanti all'andamento della finanza pubblica. Si tratterà probabilmente di reperire 3-3,5 miliardi per sistemare i conti del 2018 e, in prospettiva, mettere su basi meno precarie i già difficili conti per il 2020. In tal caso si può ipotizzare una serie di interventi catalogabili come spending review o qualche ritocco alle accise, senza troppi riflessi. Il sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti è convinto, per esempio, che ci siano le basi per opporsi alla procedura di infrazione dal momento che l'andamento di finanza pubblica per il 2019 si vai delineando meglio del previsto.
     Decisamente più impegnativa per il governo è la partita autunnale sul bilancio. Quella scadenza andrà a incrociare una serie di altri eventi. Per l'autunno si sarà insediata la nuova Commissione europea, per fine ottobre o forse prima si conoscerà il successore di Mario Draghi alla BCE e il nuovo Parlamento europeo sarà pienamente operativo. Da qui ad allora, il governo italiano dovrà impegnarsi  per designare un commissario europeo in un ruolo che, ovviamente, si vorrebbe di rilievo visto il peso del Paese, ma per ottenere il quale Conte e Tria dovranno negoziare duramente con i partner europei resi sempre più scettici dall'aggressività gialloverde. Senza una rete di relazioni con i Paesi che contano in Europa e dopo mesi di attacchi a testa bassa ora verso la Francia (Di Maio) ora verso la Germania (Salvini), conquistare un commissario "di peso" appare un'impresa piuttosto complicata.
     La questione, come spesso capita nell'Unione, riguarda prima di tutto il miglioramento delle relazioni con i partner europei. L'ambizione di Salvini di essere il "mattatore" nei nuovi equilibri a Bruxelles viene avvertita dagli altri governi come una pretesa velleitaria, non sorretta dai numeri di una compagine sovranista che si è dissolta ancora prima che si insedi il nuovo Parlamento. L'idea che l'Italia possa rinunciare a un commissario di prestigio in cambio di qualche decimale aggiuntivo di flessibilità sui conti non sarebbe nuova. La sperimentò a suo tempo Matteo Renzi quando, in cambio dei 10 miliardi per distribuire gli 80 euro ai lavoratori dipendenti diede semaforo verde all'accoglienza di immigrati. Il profilo dell'Italia nella nuova Europa uscirà decisamente ridimensionato. L'allineamento astrale che portò ad avere insieme la presidenza della Bce, del Parlamento europeo e del ministro degli Esteri non potrà ripetersi. Per fine ottobre Mario Draghi lascerà la BCE. L'Italia rischia di trovarsi un disoccupato in più, un disoccupato, c'è da scommettere, che non si accontenterà del reddito di cittadinanza.
     

     

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